Decine di migliaia di docenti immessi
finalmente in ruolo: è una bella novità, che servirà a dare sicurezza economica
e psicologica a chi questo lavoro lo ha cercato e voluto a costo di aspettare
anni e anni. Eppure non mancano coloro che ci rinunciano, rifiutandosi di
andare a lavorare in altre regioni del Paese, solitamente quelle del nord,
perché costretti a lasciare la famiglia e a sostenere spese non indifferenti,
soprattutto rispetto a stipendi a dire il vero indecorosi. E se anche in
passato altre decine e decine di migliaia di insegnanti meridionali si son dovuti
sobbarcare l'impegno di trasferirsi in altre regioni, vivendo la difficoltà di
allontanarsi dai propri affetti e dal proprio retroterra sociale e culturale, è
pur vero che in media gli attuali immessi in ruolo superano i quarant’anni e
che non pochi arrivano ai cinquanta: un’età in cui è più difficile cambiare
vita. Tuttavia, pur comprendendo tutte queste difficoltà, viene da chiedersi
cosa si potessero mai aspettare questi docenti, quando per lunghi anni
lottavano per la stabilizzazione. Si sa che le classi nel meridione sono da
anni in calo e che da ancora più tempo vi sono in crescita i laureati che
aspirano all’insegnamento. Di qui l'inevitabilità, almeno per molti, di
spostarsi dove ci sono cattedre libere. A meno di non ricorrere ad una
migrazione forzata dei ragazzi di altre regioni verso quelle meridionali… Battute a parte, sarebbe opportuno
che chi protesta indicasse almeno un’alternativa
plausibile. Nelle attuali condizioni non lo sarebbe la richiesta – seppure
sacrosanta in teoria – di un forte aumento di stipendio per la categoria, che consentisse tra l'altro a chi
si sposta di compensare in parte il sacrificio. Questo infatti non è possibile
e non lo sarà fintanto che il numero dei docenti sarà così esageratamente alto.
Da qualche decennio la scuola italiana è una struttura elefantiaca, funzionale
in particolare a dare occupazione a centinaia di migliaia di laureati,
soprattutto del Sud, che non potrebbero spendere i loro titoli accademici in
altro modo. Chi è da tempo nella scuola sa che non è raro imbattersi in
consigli di classe in cui il numero dei docenti è addirittura superiore a
quello degli allievi e che, salvo i percorsi liceali, gli altri indirizzi sono
letteralmente sommersi da un numero tale di materie (e quindi degli insegnanti)
da rendere frammentario e dispersivo lo studio e l'impegno degli studenti.
La riforma prevede che in futuro si accederà all'insegnamento attraverso
concorsi regionali, ma nulla dice sulla necessità di diminuire il numero delle
materie, soprattutto nei tecnici e nei professionali. Con il risparmio che ne
verrebbe si potrebbe forse portare finalmente gli stipendi dei docenti italiani
a livello dei loro colleghi europei e fornire alle scuole quelle strutture (laboratori,
palestre, piscine, mense...) indispensabili a renderle, appunto, delle vere
scuole. (VV)